Per esplorare l’evoluzione del giornalismo, dalle sue origini fino ai giorni nostri, è utile partire dalla definizione di due concetti fondamentali: giornalismo e comunicazione, come riportati sul sito della Treccani.
Giornalismo: L’insieme delle attività e delle tecniche necessarie alla raccolta, redazione, pubblicazione e diffusione di notizie tramite giornali quotidiani o periodici. Inoltre, si riferisce anche alla professione del giornalista.
Comunicazione: Un processo che implica lo scambio di messaggi attraverso un canale e seguendo un codice, tra sistemi (animali, umani, macchine, ecc.) della stessa natura o di natura diversa.
Comprendendo queste definizioni, possiamo procedere con l’analisi storica del giornalismo. Un significativo passo indietro ci porta al Medioevo, quando la diffusione delle conoscenze avveniva principalmente per via orale. La capacità di leggere era riservata a pochi, e il banditore aveva un ruolo cruciale: annunciare pubblicamente notizie e decreti.
La vera rivoluzione nel giornalismo avvenne nel 1455, con l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Johann Gutenberg. Questo evento segna l’inizio della storia moderna del giornalismo, le cui radici risalgono dunque alla seconda metà del Quattrocento.
L’avvento del giornalismo in Europa e la nascita dei quotidiani
Il primo giornale stampato in Europa fu il “Relation aller Fürnemmen und gedenckwürdigen Historien” (Resoconto di tutte le notizie importanti e memorabili), pubblicato a Strasburgo all’inizio del XVII secolo. Tuttavia, il primo vero quotidiano riconosciuto fu il “Notizie fresche degli affari della guerra e del mondo”, che iniziò le pubblicazioni a Lipsia nel 1660.
In Italia, l’avvento del giornalismo richiese l’attesa delle prime gazzette, raccolte che riportavano notizie locali e informazioni sui principali eventi esteri. Fu solo nel Settecento che nacquero i giornali tradizionali, inizialmente traduzioni di testate straniere, spesso di carattere letterario.
Un’importante evoluzione verso i moderni quotidiani avvenne durante il Rinascimento e, in modo più significativo, nella seconda metà dell’Ottocento. Questo periodo segnò un cambiamento radicale nella pratica redazionale, con un passaggio dalla letteratura a un giornalismo più professionale.
Le date chiave nella storia del giornalismo italiano includono:
- 1859: la nascita del quotidiano “La Nazione“
- 1866: la nascita de “Il Secolo“
- 1876: la fondazione del “Corriere della Sera“
Queste testate hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia del giornalismo italiano.
L’influenza della politica sulla stampa
Il legame tra politica e informazione esisteva già da tempo, ma l’avvento del fascismo rafforzò ulteriormente questa connessione. Dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922 e la presa di potere di Benito Mussolini, il Duce comprese subito l’importanza di controllare la stampa. Nel 1923, attraverso un regio decreto, Mussolini stabilì che un dirigente doveva necessariamente essere il direttore o il principale redattore di qualsiasi redazione. Successivamente, venne istituita la figura del direttore responsabile e l’Ordine dei giornalisti, incaricato di custodire gli albi professionali necessari per esercitare la professione giornalistica.
Per iscriversi a tale ordine, era richiesto un certificato di buona condotta politica rilasciato dal prefetto, e il direttore responsabile doveva essere riconosciuto dal procuratore generale presso le Corti d’appello. Queste restrizioni permisero a Mussolini di avere un controllo più stringente sui direttori delle testate. Questo portò a una completa fascistizzazione della stampa, in particolare dei principali quotidiani come il Corriere della Sera e La Stampa.
Mussolini considerava il giornalista un “educatore del popolo”, un ruolo che contrastava con la concezione più industrializzata del giornalismo, che vedeva il giornalista come colui che racconta gli eventi quotidiani. Il regime fascista prestò particolare attenzione alla formazione dei giornalisti, come dimostra l’istituzione della scuola di giornalismo di Roma nel 1930, promossa dal Sindacato nazionale dei giornalisti e sostenuta dai ministeri delle Corporazioni e dell’Educazione nazionale. Successivamente, venne istituita una cattedra di “Storia del giornalismo” presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Perugia. La scuola di giornalismo di Roma, unica nel garantire l’iscrizione all’Albo con il diploma senza il praticantato di 18 mesi, chiuse dopo soli tre anni.
Il giornalismo post-fascista e il PWB
Nel periodo immediatamente successivo alla caduta del fascismo, l’Italia, come dopo l’unificazione, si trovava ad affrontare una fase di ricostruzione. Era necessario un progetto politico solido per sanare i danni provocati dai conflitti bellici e da due decenni di dittatura. In questo contesto, il PWB (Psychological Warfare Branch) entrò in gioco con l’obiettivo di riorganizzare il sistema informativo italiano.
Il PWB era un organismo angloamericano creato per stabilire nuovi organi di informazione nelle città liberate. I quotidiani legati al PWB si distinguevano nettamente da quelli “di partito”, soprattutto per l’inclusione di notizie di cronaca nera, un modello poco familiare in Italia, dove la stampa era stata fortemente influenzata dal regime fascista.
Con il passare del tempo, il futuro della stampa divenne un tema centrale nei dibattiti pubblici. In particolare, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) sosteneva che nella nuova Italia democratica ci dovessero essere solo giornali di partito, eliminando le testate compromesse con il fascismo. Il CLN vedeva l’informazione come un servizio pubblico legato alle istituzioni, con una funzione pedagogica e subordinata alla politica, una costante del modello informativo italiano.
Nel frattempo, molte testate del PWB furono cedute o offerte ai giornalisti che vi lavoravano, i quali però spesso persero l’opportunità di collaborare alla creazione di nuovi giornali. Questo periodo segnò un momento cruciale nella riorganizzazione del panorama mediatico italiano, caratterizzato da un ritorno alla stampa di partito e da un rinnovato dibattito sul ruolo dell’informazione nella società.
Il giornalismo nella Costituzione
L’articolo 21 della Costituzione italiana, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, sancisce che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione“, e che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure“, ad eccezione dei limiti imposti dal “buon costume“.
Per comprendere appieno i principi di questo articolo, è importante considerare due aspetti fondamentali: il sequestro delle pubblicazioni e l’accertamento delle fonti di finanziamento dei quotidiani, noto anche come “progetto Modigliani”.
Il sequestro delle pubblicazioni è consentito solo in casi specifici: “per atto motivato dall’autorità giudiziaria nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”. Questo significa che la libertà di stampa può essere limitata solo per ragioni giuridiche ben definite e non arbitrariamente.
In merito all’accertamento delle fonti di finanziamento, la legge può stabilire controlli per garantire la trasparenza e l’indipendenza economica dei mezzi di informazione. Questo aspetto è fondamentale per prevenire influenze indebite e assicurare che la stampa possa operare liberamente e responsabilmente.
Quando sembrava che fosse stato raggiunto un certo equilibrio, emersero le prime reazioni di scontento, inaspettate e significative, che spinsero i principali partiti a mobilitarsi per creare una legge organica sulla stampa. Il primo risultato di questo processo arrivò l’8 febbraio 1948. Sebbene questa legge non risolvesse tutti i problemi, conteneva alcuni punti chiave:
a) La procedura di “registrazione” è sufficiente per la pubblicazione di un giornale.
b) La figura del direttore responsabile viene confermata.
c) Viene stabilito il diritto di rettifica.
d) Direttore ed editore non possono essere cittadini stranieri.
e) Sono introdotte norme più severe per “le pubblicazioni destinate all’infanzia o all’adolescenza” e per quelle a “contenuto raccapricciante o impressionante”.
Questi provvedimenti miravano a regolamentare il settore e a garantire una maggiore trasparenza e responsabilità nella gestione dei mezzi di informazione, tenendo conto delle sensibilità e delle esigenze della società post-bellica.
Giornalista: come si diventa e cosa fa?
Prima di esplorare una delle professioni più popolari e amate degli ultimi anni, è importante fare una premessa, sottolineando l’importanza del conseguimento di una laurea, un requisito spesso trascurato. In un settore prestigioso come quello giornalistico, la formazione scolastica, universitaria o attraverso un master gioca un ruolo cruciale.
Nel 2005, si tenne un dibattito storico sull’introduzione dell’obbligo di una laurea, almeno triennale, prima di poter sostenere l’esame da giornalista professionista. Lorenzo Del Boca, allora presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, dichiarò al Corriere della Sera: «Una volta la laurea poteva anche non essere considerata del tutto necessaria, ma solo perché si pensava a una professione da esercitare più con la pratica che con il titolo di studio e nelle redazioni erano i cronisti di lungo corso a insegnare il mestiere ai giovani». Egli aggiunse: «Oggi i tempi sono cambiati, il settore del giornalismo si è specializzato ancora di più e l’istruzione universitaria è diventata ormai fondamentale. Inoltre, tutte le redazioni hanno sfoltito gli organici e non c’è nessun redattore esperto che ha abbastanza tempo per trasferire tutte le sue conoscenze. Dunque, l’unico modo per affrontare con serietà e profitto questo mestiere è frequentare le aule universitarie e le scuole di giornalismo».
Diventare giornalista oggi richiede quindi un percorso formativo solido, iniziando spesso con una laurea in ambiti come comunicazione, lettere, scienze politiche o giornalismo. Successivamente, molti aspiranti giornalisti scelgono di frequentare scuole di giornalismo riconosciute, dove acquisiscono competenze specifiche e pratiche.
Una volta completata la formazione, il passo successivo è svolgere un periodo di praticantato, durante il quale si lavora in una redazione per apprendere sul campo. Al termine di questo periodo, si può sostenere l’esame di stato per ottenere il titolo di giornalista professionista.
Il lavoro del giornalista consiste nel raccogliere, verificare la veridicità e diffondere informazioni attraverso vari mezzi di comunicazione come giornali, riviste, televisioni e siti web. I giornalisti devono essere abili a scrivere articoli, condurre interviste, investigare su storie di interesse pubblico e presentare notizie in modo accurato e tempestivo. In un’epoca di cambiamenti rapidi e specializzazione crescente, la formazione e l’aggiornamento continuo rimangono fondamentali per mantenere elevati standard professionali.
Ora che la premessa è conclusa, possiamo procedere nel nostro percorso esaminando due domande fondamentali: quali sono i requisiti per diventare giornalisti e quali sono le loro responsabilità?
Giornalista pubblicista: Il primo passo
Mentre frequentare corsi universitari è un primo passo cruciale nella formazione di un giornalista, un’esperienza pratica sul campo è altrettanto essenziale e imprescindibile. Il primo passo consiste nel trovare una testata giornalistica, a livello nazionale o locale, disposta a collaborare e ad aprire le porte a nuovi ingressi in questo settore. Una volta iniziata la collaborazione e scritti i primi articoli, diventa fondamentale contattare l’Ordine dei giornalisti della propria regione per comprendere i requisiti necessari (incluso il compenso garantito dalla redazione) per ottenere il patentino da giornalista pubblicista.
Ma chi è esattamente un giornalista pubblicista? Si tratta di un professionista che, a differenza di altri, non è vincolato esclusivamente alla pratica giornalistica e può svolgere altre professioni. Potrà quindi avere gli stessi ruoli di un giornalista professionista e svolgere anche altre tipologie di impieghi: non sarà quindi vincolato all’attività giornalistica e potrà estendere la propria collaborazione a più giornali come freelance, oppure decidere la tipologia contrattuale con qualunque giornale, anche all’estero.
Diverso invece è il ruolo del Giornalista Professionista. Per ottenere questo titolo, è necessario iscriversi all’elenco dei praticanti e completare un periodo di tirocinio continuativo di almeno 18 mesi in una redazione o frequentando una scuola di giornalismo riconosciuta dall’Ordine. Infine, è richiesto superare un esame di idoneità professionale, composto da prove scritte e orali sulla tecnica e la pratica giornalistica, integrate dalla conoscenza delle normative legali pertinenti.
L’esame di idoneità si svolge esclusivamente a Roma, davanti a una commissione composta da sette membri: cinque nominati dal Consiglio nazionale dell’Ordine tra giornalisti professionisti con almeno 10 anni di iscrizione, mentre gli altri due membri sono scelti direttamente dal presidente della Corte di Appello di Roma, uno tra i magistrati di tribunale e l’altro tra quelli di appello. Una volta ottenuta l’iscrizione all’elenco dei professionisti, il giornalista può essere assunto da una qualsiasi testata (agenzia di stampa, casa editrice, ufficio stampa, ecc.) per avviare la sua carriera professionale.
I primi telegiornali
Nei primi tempi dei telegiornali, si assistette a un vero e proprio cambiamento nel mondo del giornalismo: un passaggio epocale che segnò l’inizio di una nuova era. Svegliarsi al mattino, dirigersi in edicola, al bar o dal barbiere per leggere il giornale e rimanere aggiornati sulle ultime notizie divenne una pratica consolidata, quasi una tradizione. Tuttavia, con il passare degli anni e l’avvento delle nuove tecnologie, questa consuetudine cominciò a perdere di significato.
Con l’avanzare del tempo e lo sviluppo delle tecnologie, la nascita dei primi programmi televisivi rappresentò un cambiamento epocale nel modo di diffondere le notizie. I telegiornali divennero il primo mezzo di comunicazione di massa per il giornalismo su carta, introducendo elementi di sensazionalismo e spettacolarizzazione alle notizie, abbinandole a immagini, grafici e riquadri, attirando un pubblico sempre più vasto e fedele.
Tuttavia, nonostante l’ascesa dei telegiornali, la stampa tradizionale riuscì a resistere con dignità, rimanendo la preferenza di una considerevole parte del pubblico che ancora oggi apprezza l’emozione di sfogliare le pagine di un giornale e sentire la carta scorrere tra le dita.
L’ascesa del giornalismo online
Con l’avvento di Internet, si aprì una vera e propria rivoluzione nel mondo del giornalismo, segnando la fine dell’era tradizionale dei quotidiani. Un calo significativo nella lettura dei giornali si verificò nel 2013, come confermato da uno studio condotto dall’Istat, che registrò una diminuzione dal 59,2% del 1993 al 49,4% della popolazione che preferiva abbandonare i giornali cartacei.
Una delle caratteristiche più evidenti e attrattive del nuovo giornalismo online è la sua incessante produttività: in un’epoca in cui si pretende di avere accesso immediato a tutto, non c’è spazio per la tradizionale deadline della mezzanotte (o, in alcuni casi, delle prime ore del mattino). Questo approccio di lavoro costringe inevitabilmente le testate a pubblicare contenuti già pronti il giorno prima, spesso tralasciando alcune delle notizie più recenti e rilevanti, come risultati di eventi sportivi svoltisi in fusi orari scomodi o sviluppi di notizie criminali emersi durante la notte.
Le testate giornalistiche “tradizionali” hanno iniziato a investire sull’informazione online per ragioni economiche, dato che questo settore non era vincolato agli stessi costi dell’informazione televisiva. Tuttavia, ci sono ancora notevoli differenze tra le redazioni tradizionali e quelle orientate al mondo digitale, soprattutto in termini di personale.
In particolare nel contesto italiano, le redazioni online tendono ad essere molto più piccole rispetto a quelle dei giornali cartacei, principalmente a causa della scelta di offrire gratuitamente i loro servizi online. Questo ha portato a magri ricavi pubblicitari online, che non permettono di mantenere un personale adeguato e creano divisioni tra le redazioni cartacee e quelle digitali.
Di conseguenza, anche i siti web dei principali giornali spesso offrono un livello qualitativo inferiore, con molti articoli che si limitano a riproporre materiale proveniente dalle agenzie di stampa senza approfondimenti originali.